Un giovane e valevolissimo critico d’arte napoletano, il neo professore Stefano Tacconi, conclude proprio testo “La contestazione dell’arte – La pratica artistica verso la vita in area campana – Da Giuseppe Desiato agli esordi dell’arte nel sociale” (Napoli, 2013 Phoebus Edizioni, per la collana Aisthesis, diretta da Salvatore Manzi), affrontando brevemente, ma efficacemente, l’emersione dell’arte come fonte di recupero sociale nel napoletano.
Tale salvifica tendenza, il Taccone la lega indissolubilmente all’esperienza di Riccardo Dalisi con i bambini del sottoproletariato del Rione Traiano, agli esordi degli anni ’70.
Per tutti i rilievi critici su questa specifica operazione artistico-culturale-architettonico-sociale, rimando, pertanto, al sopracitato testo del docente Taccone, e, ancora di più, all’ampia bibliografia che lo stesso riporta, tra cui, primi inter pares, i testi critici del Prof Enrico Crispolti e gli stessi testi prodotti da Riccardo Dalisi, contemporaneamente ed a chiusura di tale fondamentale avvenimento.
Rimando ad altre fonti, non tanto e non solo per una giusta modestia, tutt’altro che falsa quanto dovuta, ma, piuttosto, perché io credo e sento che, come disse quel tale, “in Amor le parole non contano, conta la musica”.
Pertanto, parli chi sa e vuole di Riccardo Dalisi come artista, io cercherò, errando, di parlare di Riccardo Dalisi come perfetto essere umano.
Salvatico è colui che si salva, diceva Leonardo. Colui che si salva, attenzione, non colui che salva.

Andrea Viliani, Direttore del m useo Madre di Napoli, assiste ad una performance di Riccardo Dalisi in Piazza Matteotti a Giugliano
Facili le assonanze e i giochi di parole tra salvatico, selvatico, salvifico, salvo.
Non allitterazioni né preziosismi, ma considerazioni di via e vita, in tutte le molteplici estensioni dei termini.
Riccardo Dalisi, potentino di nascita, ma naturalizzato napoletano per scelta, vita ed elezione, è di certo un archistar (se si può usare un termine così divulgativo e gigionesco da risultare piatto e per nulla connotante). Per anni è stato docente universitario presso la prestigiosa facoltà di Architettura della maggiore Università degli Studi di Napoli, la Federico II.
Indubitabilmente è un premio Compasso d’Oro – indiscrezioni dicono che a breve tale riconoscimento di rilevanza mondiale gli sarà nuovamente attribuito e alla carriera -.
Incontrovertibilmente è un grande artista, in significati desueti ed importantissimi che questo termine, ancora oggi ed incredibilmente, può riservarci.
Ma ai miei occhi, agli occhi di quella che un tempo era unagiovinedibellespes, Riccardo Dalisi, 83 anni lo scorso I maggio, è un meraviglioso bambino.

Riccardo Dalisi performa a Giugliano con l’aiuto di Lorenzo Riccardo, direttore di A/R Project, galleria nata per la diffusione delle arti visive di Giugliano
Un incorreggibile ottimista, un idiota, mai stolido, novello principe di Myskin.
Ma se l’idiota di russa memoria, affermava un po’ apoditticamente che la bellezza avrebbe salvato il mondo, Riccardo Dalisi, credo di poter affermare senza tema di essere smentita, con la bellezza ha salvato il mondo.
Quanto meno il suo.
Con la bellezza, Riccardo Dalisi ha salvato se stesso.
Poiché l’anima del mondo è in tutte le cose, ed in ogni essenza, Riccardo Dalisi, mentre salvava se stesso (non avvedendosi, probabilmente, di essere già salvo) continuava a salvare chi ne incrociava lo sguardo, le opere, la voglia, l’entusiasmo.
Riccardo Dalisi, al Rione Traiano, all’Università, nelle fiere, con le esposizioni, nei carceri minorili, con gli anziani in stato di semi abbandono, nei carceri di media sicurezza, ha salvato mille anime morte più una.
La mia.
Già salva, forse, ma che in quegli occhi miti ed azzurri ha visto, finalmente la luce.
Una luce fatta di brevi risate, di incredibili tentennamenti (Riccardo Dalisi è uno che parlando con un interlocutore gli chiede il suo parere, concedendosi una vera lunga sosta), di immensi gesti, di folle amore.
Per gli altri, per l’altro, per l’arte.
Arte che per Dalisi, almeno per come lo percepisco io, non è sovrastruttura: è voglia di vivere.
Di continuare a salvarsi. Anche quando salvi, forse lo si è nati.
Il fanciullino di pascoliana memoria che infiniti addusse lutti agli studenti italiani di ogni genere, grado e latitudine è questo.
Preservare la propria purezza, against all odds.
Ché, probabilmente, è molto più difficile farlo quando così tanto si sente, si è, si ha.
Perché quando parlo di Dalisi, io non penso certo ad un sepolcro intoccabile né ad una atarassia infrangibile.
Io, Riccardo Dalisi, l’ho visto mangiare (e di buon appetito) e poi addormentarsi all’ombra di un pomeriggio afoso settembrino.
La differenza è che lui star ultraottuagenaria anche in quel contesto, nulla chiese e disse circa il suo disagio.
Scivolò via, cautamente, lente biosàs, così che in venti ci chiedemmo anche un po’ preoccupati dove fosse finito.
Riccardo Dalisi, seduto sulla sedia in un angolo, firma autografi e parla con tutti.
Ai professori, come ai profani, agli artisti così come ai collezionisti, a volte stupidamente pedanti e senza senso della misura, agli assistenti suoi e degli altri.
Riccardo Dalisi parla, soprattutto, ai suoi colleghi artisti: no, non quelli diplomati in chissà quale istituto. Ai bambini, agli ultimi, alle anime sofferenti.
Quelli, insomma, che con il suo piffero magico (un disegno, una scultura, uno scarabocchio, una storia, una fiaba, una poesia, in definitiva solo) con il suo sorriso salva.
O, quantomeno, con il suo sorriso Dalisi ha finito di salvare me.
E, per questo grazie, Maestro.
Così tanto fiera di poterLa salutare per strada e di poterLa portare ogni giorno sul cuore, nel cuore, grazie al Cuore.
Daniela Barbara Teresa Persico Livrea
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